Un codice per la salvezza

Drinndrinn!!!!!!

La sveglia suonò.

Era mattina, il letto era così caldo e non avevo nessuna intenzione di alzarmi, anche perché a scuola ci sarebbe stata l’assemblea d’istituto, preceduta da un’unica ora di lezione. Ma dovevo.

Finii di prepararmi e m'incamminai verso la scuola, aspettai che arrivassero due miei amici, Antonio e Lorenzo, che non sono del mio stesso paese.

«Ciao ragà, siete in ritardo, muoviamoci».

«Ciao Gi, non è colpa nostra, sai il pullman…» risposero, e così ci dirigemmo verso l’istituto. L’istituto distava qualche minuto dalla fermata per cui, nonostante il passo sostenuto, arrivammo con un leggere ritardo che ci causò una bella lavata di capo da parte del professore di filosofia.

Dopo una pesante ora di filosofia (Aristotele può essere una tortura senza pari!), ci recammo in corridoio, ci sistemammo con le sedie e ci sedemmo dietro… quale miglior modo per rilassarsi se non stare agli ultimi posti!

Il corridoio, nonostante fosse molto grande, più lungo che largo, si riempì in pochissimo tempo: ci fu un rumore assordante, tra sedie che venivano urtate e ragazzi che gridavano a d alta voce. I bidelli abbassarono tutte le tapparelle, in questo modo la luce emessa dal proiettore contro il telo fu più nitida. A questo punto i vari professori presenti ci chiesero di fare silenzio e noi, a malincuore, obbedimmo.

L’assemblea iniziò con la visione di alcuni video: dovetti riprendere tutto, perché avremmo dovuto fare una relazione su quanto emerso dal dibattito. La prima ora passò.

Ad un certo punto i video vennero interrotti da una scritta “SE LA VITA TI VUOI SALVARE, CON LA MENTE DEVI GIOCARE”. Smisi subito di riprendere.

Mentre nessuno sembrava dare importanza quella frase enigmatica, provai la sensazione che quello che stava succedendo aveva qualcosa di strano e andava ben oltre lo scherzo banale di qualche stupido alunno. Perciò riguardai parte del video dal mio cellulare; c’era qualcosa che mi incuriosiva. Guardai meglio… in piccolo c’era scritto altro. Ingrandii, e vidi la parola “Vigenère”: mi ricordava qualcosa, ma non sapevo cosa, avevo un vuoto di memoria…

Mi rivolsi a Lorenzo.

«Lorè ricordi qualcosa riguardo questo (gli mostrai la scritta)?»

Dopo averci pensato qualche secondo esclamò: «Si! Come fai a non ricordartelo?! Ce ne ha parlato il professore di Storia qualche lezione fa sulla crittografia!».

Allora intervenne Antonio, che suggerì: «Andiamo dal professore allora!».

Ci alzammo silenziosamente dalle sedie, ci recammo nell’aula dei docenti, in cerca del professor Mastropasqua. Lo trovammo lì. «Buongiorno» dicemmo, poi aggiunsi subito: «Prof potete darci informazioni riguardanti Vigenère?»

Il professore, che si era sempre lamentato del fatto che al giorno d’oggi gli studenti leggono troppo poco, sembrò illuminarsi. La sua espressione, ad un tempo stupita ed entusiasta, rifletteva alla perfezione ciò che stava pensando: “finalmente qualcuno che si decide a fare domande intelligenti e non sulle solite cretinate!”. Sfortunatamente per noi, dare una risposta diretta senza rimandare ad un libro era chiedere troppo al professore Mastropasqua!

«Guardate che c’è un libro dal titolo Codice e segreti nel terzo scaffale della libreria del ripostiglio del secondo piano. Vi sarà utile».

Giunti nel ripostiglio Antonio prese il libro, ma non appena lo aprì cadde un foglietto con su scritto “FJBSGD HKTSTHT”. Ci sembrarono lettere a caso, per cui non gli demmo importanza.

Continuammo a sfogliare il libro, finché non arrivammo al paragrafo riguardante la scuola di Vigenère e leggemmo:

Tentammo di decifrare il messaggio e ottenemmo le parole: QUADRO SVEDESE.

Lorenzo disse: «Ragazzi…secondo me un prossimo indizio può trovarsi in un quadro all’interno della scuola, che ne pensate?».

La pensavo come lui, per cui aggiunsi: «Dividiamoci, Antonio tu vai di sopra, io e Lorenzo controlliamo di sotto, ci sono più quadri».

Dopo qualche minuto di ricerca, ci rendemmo conto che nei quadri non c’erano indizi.

Scoraggiati, ci mettemmo vicino al termosifone: non capivamo cosa volesse dire il messaggio, finché non passò davanti a noi il figlio del professore di Educazione fisica… beh! A quel punto fu ovvio… si trattava dell’attrezzo ginnico, che è utilizzato per sviluppare i muscoli dell’arrampicata.

Antonio disse: «Dobbiamo andare in palestra! Ma adesso è chiusa, e i bidelli non ci daranno mai la chiave!»

Avevamo bisogno di un piano. Procedemmo in questo modo: Antonio ed io prendemmo due pacchi di patatine, li svuotammo completamente, rispettivamente vicino le porte d’emergenza del primo e del secondo piano. In questo modo entrambi i bidelli si sarebbero allontanati dallo “stanzino” per raccogliere le patatine, Lorenzo avrebbe dovuto approfittare della loro assenza per prendere, di nascosto, la chiave. Attuammo il piano di Lorenzo e dopo qualche minuto ci dirigemmo in palestra. Arrivati lì, andammo direttamente al quadro svedese, ma osservandolo non notammo niente. Antonio prese l’iniziativa di arrampicarsi; presa dal panico dissi a Lorenzo: «Mettiamo a terra quei materassini in modo da attutire l’impatto in caso di caduta!».

Arrivato in cima Antonio vide un secondo foglietto, lo prese, ma non scese, disse: «Non ce la faccio a scendere».

Lo incoraggiammo: «Stai tranquillo, se utilizzerai la tecnica insegnataci dal prof di educazione fisica, andrà tutto bene!».

Dopo qualche minuto dissi: «Lorè aiutami, mettiamoci agli estremi del quadro, in modo da tenerlo fermo. Antonio, stai tranquillo, adesso non dondolerà!».

Ci mettemmo agli estremi del quadro: Antonio si fece coraggio e scese.

A questo punto fu facile riportare la chiave, senza farci vedere. Ma purtroppo c’era un piccolo problema: qualcuno aveva chiuso le porte con il lucchetto a nostra insaputa.

Come uscire?

Gridammo a squarciagola: «Fateci uscire! Siamo chiusi dentro! Aprite!», ma niente, nessun professore o studente ci sentì.

Non c’era via d’uscita, persino quelle secondarie erano state sigillate.

«Cerchiamo negli spogliatoi qualche arnese per sbloccare la porta» dissi, ma Antonio controbatté «Oltre ad un banco e un armadietto contenente vari palloni, non c’è niente che possa esserci d’aiuto!». Allora Lorenzo pensò ad alta voce: «Perché non utilizzare un ferretto come nei film?».

Così mi tolsi un ferretto e lo diedi ad Antonio, ci impegnammo e finalmente dopo minuti di tensione riuscimmo ad uscire dalla porta secondaria, facemmo il giro dell’istituto e rientrammo nell’atrio della scuola rimettendo la chiave al suo posto nello stanzino.

Riprendemmo il foglietto. Anche su questo c’erano lettere a prima vista casuali: “VH OH ZAH BRLONH BARN SODFDUH AQ FRGNFH GHBN GNLNZDUM”. Lo deciframmo con il cifrario di Vigenère proprio come avevamo fatto per il messaggio precedente, ma ci accorgemmo che la frase non aveva senso: era stato criptato con un codice diverso.

Consultammo nuovamente il libro, ed esclamammo esasperati: «Ci sono troppi codici!»

Lorenzo aggiunse: «Ci conviene chiedere aiuto al professore». Andammo da lui; si mostrò subito disponibile.

«Datemi il libro e il foglietto con il messaggio in codice. Vediamo cosa posso fare» rispose.

Osservò il bigliettino e capì subito che si trattava del cifrario di Cesare. Lesse: «La cifratura di Cesare si basa su un alfabeto cifrante traslato di un certo numero di posti (tre) rispetto all'alfabeto chiaro…»

Deciframmo quindi il codice: “SE LE TUE VOGLIE VUOI PLACARE, UN CODICE DEVI DIGITARE”.

Non aveva senso, per niente senso!

Delusi e stanchi ci sedemmo sulle scale, tra il primo e il secondo piano. Affianco alle scale c’erano i distributori di merendine, e guardandoli ebbi un’illuminazione.

Compresi l’enigmatica frase: le “voglie” indicavano la fame, il codice invece erano i numeri da digitare per prelevare le merendine. Ci avvicinammo alle macchinette e ci accorgemmo che al loro interno non vi era alcun biglietto, però attaccato al distributore del caffé c’era un avviso che diceva “GUASTO”. Lo staccai, lo girai e vidi un altro codice: ”ULHL RZ DESIE IQZ BNONHE”.

Provai a decifrarlo col cifrario di Cesare, mentre Antonio provava con quello di Vigenère. Nessuno dei due codici funzionava.

Lorenzo pensò che forse il codice doveva trovarsi nelle pagine tra i due codici utilizzati prima. L’unico presente era quello a sostituzione monoalfabetica.

Nella sostituzione monoalfabetica ogni lettera del testo chiaro viene rimpiazzata da un’altra lettera in base ad una chiave, la chiave è l’alfabeto cifrante.

Leggendo questo iniziammo a decifrare il nostro messaggio in codice e trovammo la soluzione “SARA’ IL MONDO DEL FUTURO”.

Questa volta fu più facile capire di cosa si trattasse. Dovevamo dirigerci verso il laboratorio d'informatica, ma come prendere la chiave?

Chiedemmo di nuovo aiuto al professore, spiegandogli la situazione.

Il professore, con espressione seria, prese la chiave dallo stanzino del bidello e ce la consegnò. Si tenne però il libro Codici e Segreti. Entrammo in laboratorio e vedemmo sui monitor di tutti i computer lo stesso codice: "PTFJIPP".

Provammo a decifrare anche questo. Il professore, consapevole che questo tipo di cifratura non l’avremmo trovata all’interno del libro, ci disse: «Questa cifratura è stata creata dai miei vecchi alunni» e ci mostrò come funzionava il codice.

—le parole chiave (verme), che fanno da tramite tra gli indizi e i codici, sono due:

Verme 1 -> VOCALI --> Lettera A
Verme 2 -> CONSONANTI --> Lettera B

—Ad ogni lettera dell'alfabeto corrisponde un determinato numero -->

—La funzione utilizzata per criptare è definita:

C= 26 - [( X + Y )•2]

Dove, rispettivamente:

C= lettera del codice cifrato

X= numero della lettera della parole dell'indizio in questione [ 1-26 ]

Y= numero della lettera della parola chiave (verme) [ 1-26 ]

—La funzione utilizzata per decriptare, pertanto, risulterà essere:

X= (26 -C -2Y) : 2

Esempio di codificazione:

Indizio: CIAO

Chiave (verme): BAAA

Codice: PFUF

Ogni lettera del codice è ottenuta utilizzando la formula descritta precedentemente: es. C=3; B=2 --> (3 + 2)•2 = 10 --> J

Esempio di decodificazione:

Codice: PFUF

Chiave (verme): BAAA

Indizio --> X= [26 -16 -2(2)] : 2 = 3 --> C

Compreso il modo di decifrare il messaggio, ottenemmo la parola “ORDIGNO”. Esclamammo in coro increduli: «È una bomba!».

Cercammo l’esplosivo all’interno del laboratorio, osservammo la stanza...mi abbassai; guardai sotto i banchi e vidi una valigetta d’acciaio. La presi, sopra c’era un display con un timer, per poterlo disinnescare dovevamo inserire un codice composto da sei cifre. Avevamo soltanto 5 minuti per intuire la soluzione!

Considerammo le sei cifre e pensammo inizialmente ad una data. Ma avendo solo una possibilità, non provammo: se avessimo sbagliato il codice saremmo saltati in aria. Il tempo stava per scadere, mancavano solo 15 secondi ed ormai non potevamo far evacuare l’istituto.

Ci stringemmo la mano, consapevoli che in quel momento la nostra vita stava per finire.

3, 2, 1…

«BOOM!», gridò il professore. La bomba non scoppiò, ma noi, terrorizzati, rimanemmo lì imbambolati senza nemmeno tentare di muoverci, tantomeno di esultare.

Allora il professore, fissandoci tutto sorridente, disse con voce soave: «Ce l’avete fatta, ottimo lavoro!»

Dopo alcuni attimi di silenzio, vedendo le nostre facce smarrite, riprese: «che sono quelle facce perplesse? Sono io, sono sempre stato io l’organizzatore di questa caccia al tesoro!»

Lorenzo passò dalla paura alla rabbia in un istante.

«Ma come le è saltato in mente di mettere una bomba all’interno della scuola?! E se fosse scoppiata?».

Dopo una lunga risata, il prof rispose: «La bomba è finta ovviamente! Questo piano, in accordo con gli altri docenti, è stato solo un modo “creativo” per individuare degli studenti dell’istituto cui assegnare una borsa di studio, concessa solo agli studenti più dotati di curiosità intellettuale!».

«Ma perché terrorizzarci in questo modo! Abbiamo pensato di morire!» chiese Antonio. Era il suo turno di attaccare il professore.

«L’ho fatto solo per farvi comprendere che nella vita, per ottenere qualcosa, bisogna sudare e impegnarsi al massimo nei limiti delle proprie capacità. E poi, proporre un semplice esercizio per valutare le capacità degli studenti sarebbe stato terribilmente noioso!». E rise nuovamente di gusto.

Ancora increduli, ci dirigemmo verso l’uscita del laboratorio. Era ora di tornare a casa, l’assemblea era ormai terminata e l’istituto era vuoto. Così andammo in classe e, prese tutte le nostre cose, uscimmo. Arrivati davanti al pullman che avrebbe portato Antonio e Lorenzo al loro paese, li abbracciai forte. Fu un giorno strano: divertente e terrificante allo stesso tempo!