24 dicembre 1916

Adorati miei cari,

in momenti come questi, quando il ticchettio della pioggia accompagna i miei pensieri e il terreno si trasforma in fango non calpestabile, quando la lotta ci concede una pausa per riposare le nostre energie, rilassare il nostro udito e smantellare la corazza di ferro che protegge il nostro cuore e che nasconde i nostri volti . E’ in momenti come questi, con la testa lontana dalle bombe e dai boati, che la presenza più forte che posso sentire è la vostra mancanza. Rimembro i lontani giorni passati, vissuti e non, perché solo ora mi accorgo di quanto il tempo a nostra disposizione sia limitato, solo ora comprendo il vero significato del vissuto e vi consiglio di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, ma anche come fosse il primo: indimenticabile, irripetibile ,unico, capace di stupirci sempre. Mi rammarico per le giornate sprecate , non vissute, passate ad affogare nell’ozio poiché so che non potrò mai riottenere il tempo perduto e allora vi chiedo oggi, domani , dopodomani e le settimane venture di vivere e vivere anche per me. Anche per me che non ammiro più il blu del cielo, ma soltanto grigio di nubi, polveri ed esplosioni, io che ho visto i prati verdi i in cui prima portavo al pascolo le pecore trasformarsi in suolo di battaglia. Fatelo per me che di profumi dei fiori non ne percepisco più, ma sono nauseato dai (corpi)cadaveri putrefatti dei miei compagni e dei miei ‘nemici’. Vivete e gioite per me perché il belare delle pecore non odo più e nemmeno il rintocco della campana del paese che ci riuniva alla calda tavola, né tavole apparecchiate. Oramai quando mi desto dai miei incubi, avverto solo boati di bombe, cannonate di cannoni, il Ta Pum delle Mennlicher e il richiamo del generale .

Talvolta nemmeno il rimbombo dei cannoni riesce a sovrastare il frastuono dei miei pensieri...ah! Quante riflessioni! Strano meditare, siamo tutti sempre troppi impegnati, freddi e rigidi per riflettere. Nessuno batte la fiacca, ogni ordine è un comando, eppure arriva un momento in cui ci troviamo soli e i pensieri prendono il sopravvento sebbene tutto desideriamo fuorché rimuginare. Perciò mi ritrovo a domandarmi il motivo per cui io sia qui, a combattere la Guerra contro miei fratelli . Mi convinco sempre più dell’inutilità di questa strage, il cui scopo è soltanto quello di distruggere, rovinare città, case, ma soprattutto annientare vite, uomini e famiglie.

Lo Stato investe soldi per finanziare la sua stessa morte? Non sono loro a combattere, siamo solo noi, disgraziati contadini analfabeti convinti che ciò che stiamo facendo sia giusto, incitati alla guerra, orgogliosi e fieri di difendere la propria nazione. Ma sono IO a dover sparare, per volontà del generale, ad un mio compagno se quest’ultimo non esegue gli ordini comandati, sono io che convivo con cadaveri che emanano un odore nauseante, io sono rintanato in cunicoli stretti e tortuosi, io devo obbedire ad ogni ordine del sergente andando incontro alla morte poiché l’alternativa sarebbe essere fucilati e quindi morte sicura. In fondo che posso fare? Si è comandati e si deve obbedire, qui bisogna prenderla come viene: sempre ! Io non posso mai abbandonare il posto di blocco, sempre solo io e i miei compagni. Non mangiamo da due giorni, siamo assiderati per il freddo invernale che ci perfora gli organi. Soffia un vento gelato che come un spada di ferro ci trafigge, ma il nostro cuore si sta abituando, deve essere più forte del vento e non cedere, quindi resisterà fino a quando non crolleremo. Se ancora il vento non ci ha abbattuti è perché il nostro cuore non è di ghiaccio, non c’è possibilità che si sciolga con il calore, no,il nostro cuore è di pietra: non proviamo più emozioni. Del resto come può essere considerato uomo qualcuno che impugna un fucile e resta vigile con il dito sul grilletto, in allerta, pronto a sparare a chiunque si avvicini? Come può essere considerato uomo chi non guarda neanche in faccia chi sta uccidendo? La guerra ci sta trasformando in mostri, ma io non voglio essere un bestia e tanto meno un uomo considerando tutte le brutte azioni commesse. Nessuno mi obbliga, potrei farmi uccidere e far cessare questa guerra struggente, ma non sarei altro che una vittima inutile, una morte senza senso e non voglio privarmi di un bene prezioso quale la vita perché qualcuno vuole portarmela via. Perciò tutti i giorni impugno il fucile e premo il grilletto. Ta Pum. Uno, due, tre colpi. Ta Pum,ta pum,ta pum! E un uomo si accascia a terra, un altro emette un gemito, l’altro ancora cade, di spalle. Codardia, sono un codardo. Sleale pugnalare alla spalle. Eppure la fifhaus aumenta ed è sempre troppa, incontrollabile. Poi arriva il giorno in cui ti trovi faccia a faccia con quella che presto sarà un’altra vittima o il tuo assassino e il più velocemente possibile premi il grilletto. Ta. Il corpo si accascia a terra. Un grido di orrore resta impresso nei suoi occhi, occhi che continuano a fissarti e che non scorderai mai. Pum.

Comprendete, miei cari? Spero di sì perché sto impazzendo, nessuno mi capisce, ma in realtà spero proprio di no perché nessuno deve provare queste emozioni terribili e indescrivibili.

Anche se non comprenderete, io vi scrivo perché la carta è l’unico amico che mi è rimasto, non posso starne senza. Davvero è molto importante scrivere in questi giorni, sto bene (tanto per dire), mi sfogo e chiarisco un poco i pensieri. Per qualche minuto mi distraggo, ma la fame mi strugge. Oggi niente rancio, soltanto mezzo bicchierino di caffè. Se non posso essere sollevato da ciò con cui veniamo riforniti, spero che il recapito di questo scarpinogramma giunga a buon fine. Vi supplico di informarmi e indirizzarmi numerose lettere, fin quando io ve ne invierò intenderà che sono sopravvissuto alla giornata. Oggi sono molto titubante, temo che questa sarà l’ultima lettera che scriverò: il generale ha predisposto una sortita contro la trincea nemica. Una sortita è sinonimo di fucilazioni e morti: è un invito a farsi uccidere. Tra noi ci sono coloro che sperano nelle pallottole intelligenti: un colpo che non ti uccide, ma ti ferisce soltanto permettendoti di ritirarti ,per un tempo definito, dai combattimenti ottenendo la bassa di passaggio. Eppure penso che quelle pallottole non siano intelligenti, esse sono ignoranti, ignoranti come coloro che sperano di essere urtati poiché molte volte il piano fallisce e al posto di essere feriti da una pallottola si è distrutti da una granata. L’esito lo lascio intuire.

Ma oggi no, basta, non voglio più uccidere, non voglio morire dentro, non voglio far appassire il mio cuore, ormai marcio. No, oggi voglio cessare il fuoco, voglio posare le armi a terra e strepitare, urlare, gridare rivelando tutte le emozioni, l’odio, la rabbia, i sensi di colpa che mi tengo dentro sin dal momento in cui hanno bussato alla nostra porta e mi hanno strappato alla mia famiglia, alle mie terre, alla mia vita. Serbo memoria del militare insensibile che con il cuore arido mi ha trascinato via da voi, afferrandomi con mani che già in passato avevano violentato famiglie e vite, rimpiangendo di non avervi potuto salutare prima di partire per la naia. E io non voglio più rovinare famiglie, non voglio più sentir rimbombare i ta pum del fucile, i boom dell’esplosione. No,basta! Oggi non ucciderò nuovamente. Mi ritroverò nuovamente faccia a faccia con il nemico, ma abbasserò la guardia, getterò l’arma e guarderò dritto negli occhi colui che sventola una bandiera rossa e bianca piuttosto che una verde bianca e rossa, lo guarderò negli occhi supplicando di dimostrare di essere un uomo e non un soldato. Come ho fatto ieri, farò anche oggi perché nemmeno la morte mi fa paura oramai. Sono più impaurito di ritrovare me stesso, la mia umanità, i miei sentimenti. Non so più chi sono. Chi sono? Come mi chiamo? Soldato di prima linea pronto ad attaccare la trincea austriaca. No,no. Ho perso il senno, non mi ricordo. Sono un uomo? Posso essere ancora definito tale? O i mostri sono coloro che ci invitano a lottare? Nessuno ci obbliga a fare la guerra. E io ieri l’ho capito. Oggi lo comprendo e domani, ma che domani, stamane lo insegnerò agli altri uomini e non ai soldati. Perciò spero di trasmettere attraverso uno sguardo ciò che provo. E come ieri un UOMO in seguito al mio gesto ha gettato il fucile ed è scoppiato in un pianto dirompente che come una bomba gli ha squarciato l’armatura che indossava e ha rivelato la sua umanità; come ieri spero che lo stesso accadrà oggi. Posso considerarla un’azione utile a ritrovare me stesso, voglio abbandonare nelle doline, nei cunicoli stretti e tortuosi le negative emozioni, la rabbia, l’odio, la colpevolezza, gettare indietro il passato e partire da capo: siamo tutti fratelli. Fratelli non facciamo prendere il sopravvento all’egoismo, non pensiamo a portarci a casa la ghirba, ma torniamo a casa oltre che con la nostra pancia anche con dei sentimenti, con la consapevolezza di essere uomini e non pazzi assassini. Lo Stato ci inganna, non ci sarà una vittoria, nemmeno ricompense, si terranno soltanto tantissimi funerali per coloro i cui corpi non sono stati ammucchiati in una faida e abbandonati soli, putridi, freddi. Quindi non lottiamo tra di noi. Non serve a nulla se non a spargere sangue. Piuttosto protestiamo contro le ingiustizie, lavoriamo, collaboriamo e otterremo ciò che desideriamo senza che nessuno potrà piegarci. Perché nessuno ci toccherà, nessuno oserà più torcere un capello ad un altro, nessuno impugnerà più un fucile, nessuno penserà di essere superiore, nessuno verserà più sangue inutilmente. Nessuno deve morire per queste ragioni, eppure ecco il Soldato di prima linea accasciato a terra metri lungi da me, eccone un altro ancora più vicino, e un Soldato di quarta linea accasciato a terra, un sott’ufficiale stramazzante a terra e ancora un soldato che guardo(ma non guardo) solo ora il cui odore mi nausea. ”Scusa ma non ce la faccio, io sono ancor vivo grazie a Dio, non vorrei morire asfissiato” questa la giustificazione da me addotta mentre trascino il corpo inanimato e freddo un poco più lontano da me. Mi risiedo e contemplo il paesaggio, distrutto. Non conosco nemmeno il nome di chi giace privo di vita a poche centinaia di passi di distanza da me, è triste il mondo. Non voglio quindi più vedere morti, credetemi è una veduta straziante, straziante quanto l’attesa. La guerra non finisce più, si prolunga sempre più. Due mesi fa mi fu detto che sarebbe terminata in due settimane, ora posticipa la fine la costruzione di cunicoli stretti e tortuosi nei quali vivo per parecchie settimane. Anche ora mi trovo seduto, tra due grandi muretti a secco, non so quanto possa durare la muraglia, tra quanto sarà distrutta o tra quanto tempo ci trasferiremo in un altro fossato. Spero che la guerra finisca ,non voglio più avanzare con la pattuglia, all’attacco, non voglio più essere un cecchino che mira mortalmente le prede e nemmeno affrontare altre culiferiche scendendo velocemente da una trincea tra la neve, non voglio più patire freddo ma voglio tornare a casa. A casa d’inverno mi scaldavate voi con il vostro affetto, ma qui chi mi vuole bene? Chi mi ricorda cosa significa amare, voler bene? Chi se lo ricorda?

Ho paura di morire, non perché le gavetta è pulita da giorni e la sbobba non disgusta più il mio palato, ma morire dentro. Non abbandonatemi, vi supplico, ho bisogno di voi.

Pagherei con la mia vita per tornare a spaccarmi la schiena diciotto ore al giorno, zappando, coltivando e pascolando sotto il sole cocente o in pieno inverno lavorando senza giacca e pelo. Mi indebiterei per poter sopravvivere con quel poco di bene e quel poco di vino che, seppur non in modo abbondante, non mancava mai. Invidio chi ora è riunito attorno ad una tavola apparecchiata, con la propria famiglia, tuo padre che ti tira le orecchie per spronarti a lavorare maggiormente e in modo più efficiente. Ucciderei per sentirmi sfiorare il volto da una carezza di mia madre. Morirei per sgridare i miei fratelli che corrono attorno al tavolo per limitare il loro entusiasmo, ma ora non frenerei la loro gioia, anzi mi aggregherei a loro. Tra qualche ora festeggerete tutti il Natale, probabilmente anch’io lo festeggerò con voi, contemplate il cielo, se individuerete una stella che brilla, quella sarò io.

Con la speranza che il mio ricordo persista nel vostro cuore, il sempre più debole

Francesco

di Zaccarini Sofia

Disegni di Moorthikal Aji Alan

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