Dopo aver sintetizzato il contenuto della trama del romanzo dello scrittore francese Albert Camus "La peste" del 1947 (Wikipedia); riassumi in pochi punti gli aspetti più significativi dell'articolo della giornalista Teresa Simeone; infine fa delle riflessioni personali su quanto sta accadendo in questo periodo.

Sintesi del romanzo “La peste” di Camus

È un libro che molti conoscono, fu pubblicato immediatamente dopo la seconda guerra mondiale e racconta le vicissitudini di una città travolta dal morbo mortale della peste.

Tale romanzo ottiene infatti successo in tutto il mondo nel 1957.

Albert Camus è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura, dieci anni dopo la pubblicazione del romanzo.

Ad Orano, città dell'Algeria francese, scoppia improvvisamente una epidemia, nella tranquilla routine quotidiana i topi invadono le case e vanno a morire per le strade della città, contemporaneamente molti uomini si ammalano di febbre.

Il dottor Bernard Rieux preoccupato e si convince che si tratta di peste, si registrano molti morti al giorno e la cittadinanza è in preda al panico. Da Parigi arriva l’ordine di chiudere le porte della città mettendola in quarantena.

La città è incredula, ma a poco a poco deve adattarsi alla vita in tempo di peste. Il rischio di morire diventa un pensiero quotidiano; la fuga è impossibile. I confini sono severamente sorvegliati, l'obbligo dell'isolamento costringono gli abitanti di Orano a sperimentare per la prima volta la prigionia, l'esilio, la separazione.

La vita diventa difficile.

Il padre gesuita Paneloux, che giudica la peste una punizione divina, tuona dal pulpito contro i peccati degli uomini. Il dottor Rieux dedica la propria vita per curare gli ammalati e, dietro consiglio di Tarrou, un ex militante politico, organizza squadre di volontari.

Il giornalista Raymond Rambert, che potrebbe tornare a Parigi, decide di restare per dare il proprio contributo.

Castel sperimenta un vaccino che Rieux prova, senza risultato, sul figlio del giudice Othon. I morti ormai non si contano più. Quando tutto sembra perduto cominciano le prime guarigioni e le statistiche registrano finalmente un regresso della malattia. Ma, mentre il siero dà prova di efficacia, la peste, continua a colpire. Muoiono, tra gli altri, la moglie di Rieux e Tarrou. Ma finalmente la peste è sconfitta, la città di Orano riapre le porte e i suoi abitanti si abbandonano di nuovo al sonno dell’incoscienza.

Alla fine del libro Rieux svela che è lui a scrivere, confessa di aver scelto di testimoniare. Lo ha fatto dalla parte delle vittime, vivendo la loro sofferenza, parlando per tutti. Dicendo, altresì, con gli esempi positivi che ha riportato, che negli uomini ci sono più cose da ammirare che da disprezzare.

RIASSUMI IN POCHI PUNTI GLI ASPETTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELL'ARTICOLO DELLA GIORNALISTA TERESA SIMEONE

La giornalista Teresa Simeone nell’articolo “L’umanesimo ai tempi del coronavirus” contestualizza “La Peste” di Camus all’attualità e la lega a ciò che sta succedendo in questi mesi di emergenza CORONAVIRUS, citando alcuni passi del libro.

Il romanzo, scritto negli anni '40, come metafora del nazionalsocialismo o il nazismo di Hitler in Germania, grande male della seconda guerra mondiale. Per l’autore questa corrente era paragonabile ad un’epidemia o piaga, proprio come la peste, che colpiva le menti delle persone cambiandole. Ci sono alcuni temi in particolare, che rimandano a ciò che sta accadendo in Italia come i focolai di Codogno e in Cina a Whuan.

La diffusione attuale del coronavirus, nuovo e invasivo patogeno, è in grado di modificare i rapporti, relazioni, vita sociale e culturale, economia e diritti: nessuno avrebbe immaginato che non una singola città, ma un’intera nazione e poi un continente e infine il mondo globale diventasse un enorme, impensabile lazzaretto.

Si sofferma sulla scena del libro quando scoppia l’epidemia della peste, una sciagura di fronte alla quale si è impreparati, che induce un misto d’inquietudine e speranza.

Tra la gente si diffondono: la paura del contagio, la paura di non farcela, l’istinto della sopravvivenza come l’accaparramento dei viveri lasciando agli altri nulla, il terrore di essere emarginati dai sani, l’angoscia di essere separati dai propri affetti, la disperazione, la follia e la solitudine. La pietà, non è più possibile.

Altre reazioni possono essere lo spogliarsi da maschere o da protezioni, o il venir fuori del potenziale nascosto nelle persone.

La collettività non deve fuggire dalla peste ma combatterla, a qualsiasi costo, con qualunque mezzo. Impedire che le persone muoiano dà senso alle giornate.

A tal proposito cita: Castel, Rieux, Rambert, Tarrou, Paneloux, eroi nella lotta della peste, esempi di lavoratori instancabili fino allo sfinimento e all’incuria per se stessi.

Castel, sperimenta un vaccino che Rieux prova, senza risultato, sul figlio del giudice Othon.

Il dottor Rieux e un certo Tarrou: il primo è un medico, quindi preparato per vocazione a lottare contro il dolore degli altri, l'altro è un uomo disincantato ed ironico dalla storia misteriosa, che volontariamente diverrà l'organizzatore delle squadre agli ammalati.

I loro amici sono Lambert, un giornalista rimasto intrappolato in città ed impaziente di fuggire e Paneloux, anziano e colto gesuita, che nel corso del romanzo passa dall'astratta condanna delle colpe degli uomini (l'antica interpretazione sacra della peste come castigo divino) alla comprensione e alla pietà verso i malati, offrendosi volontario per il rischioso lavoro nelle squadre di soccorso.

Un altro concetto, che ricorre spesso nella produzione del filosofo francese, è quello della responsabilità collettiva, nessuno si salva da solo, ci si salva e si va avanti solo tutti insieme.

La collettività, dunque, è il bene comune.

A conclusione dell’articolo la giornalista chiude con il concetto di alterità su “ciò che è l’altro per noi” e su “ciò che siamo noi per l’altro”.

Si interroga sulla condizione psicologica e fisica del contagiato, sul suo timore di poter infettare chi gli è vicino, sul suo vivere la malattia, sulla violazione della privacy in nome della sicurezza nazionale, che lo marchia come “untore” e lo espone alla pubblica gogna. Ancora una volta Camus ci esorta a dare il meglio di sé per provare a guarire dal contagio e salvare gli altri, quindi ci fa capire che solidarietà e l’empatia salva gli uomini dalla violenza del male e il vaccino del male è la speranza.

Nel primo capitolo del libro compare il consolante: "Andrà tutto bene", attualmente molto usato nella messaggistica con hastag: #andràtuttobene.

Di fronte alla pandemia noi ragazzi, anche se noi non stiamo in prima linea, anche se non portiamo le mascherine nelle nostre case, anche se non abbiamo a che fare direttamente con la morte, e con la sofferenza, dobbiamo RESTARE A CASA per essere vicini a chi soffre, per essere uniti di fronte alla violenza del male, questo è ciò che rende umano l’uomo, ciò che rende umani oggi.

SAPER RESTARE è il nome forse più alto della cura, mentre l'egoismo e l'indifferenza sono gli aiutanti del morbo, gli anticorpi per questi nemici temibili ribadisco sono lo spirito di solidarietà insieme ad una decisa resistenza: #celafaremo.

Ormai sono 48 giorni che sono a casa, come la maggior parte degli italiani siamo in quarantena. Stiamo vivendo giorni di angoscia, di preoccupazione a causa di questa pandemia “Coronavirus”, che sta coinvolgendo tutto il mondo. Mi viene da pensare a tutti i medici e gli infermieri che sono negli ospedali che stanno affrontando questa situazione in prima persona per aiutare chi purtroppo ha preso questa malattia, lavorando anche in condizioni pessime e senza macchinari adatti. Da quando sono a casa tutta la normalità mi manca dal vedere amici a prendere autobus, stare in mezzo alla gente, stare al bar con gli amici, mi manca tutto.

È una situazione difficile quella di stare distanti dagli amici, parenti, dagli affetti più cari, ma è molto importante stare distanti l’uno dall’altro sia per me che per il prossimo. Pensando a tutte quelle persone che stanno combattendo per vivere mi ritengo fortunato. Abitando in campagna è anche un vantaggio rispetto a tutte quelle persone che abitano in città rinchiusi in piccoli appartamenti.

Spero che questo brutto periodo passi presto e si trovi una cura per far passare questo male e così tornare a vivere nella normalità di prima.

Luca Giovannelli

Classe 5f

Andrà tutto bene - Foto di A. Verdecchia

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Lettura e comprensione; sintesi e produzione di un testo scritto: Letteratura e attualità

La storia è ambientata nella città algerina di Orano, degli anni quaranta, quando il luogo è ancora sotto la dominazione francese. Protagonista è Bernard RIEUX, medico francese residente a Orano, la storia ha inizio con RIEUX che accompagna la moglie, gravemente malata, alla stazione di Orano, dove prenderà un treno per raggiungere una non meglio precisata località per curarsi. Poco dopo scoppia un’improvvisa moria di ratti. Gli animali vengono trovati morti a migliaia.

Dopo la morte di Michel, portiere del condominio ove risiede RIEUX, un città si diffondono casi analoghi. RIEUX e il collega Castel riconoscono i sintomi della peste bubbonica.

Inizialmente, nessuno vuol prendere in considerazione i sospetti dei due medici. Quando però l’epidemia esplode in tutta violenza, da Parigi viene ordinato di chiudere la città, al fine di impedire il propagarsi del contagio. Nonostante il pensiero per la moglie malata, RIEUX non si tira indietro dal prestare le cure agli appestai. Viene aiutato da Jean TARROU.

TARROU è figlio di un pubblico ministero francese, un giorno, tuttavia, il padre lo aveva invitato ad assistere a una sua arringa in un processo penale, nel quale era riuscito a ottenere la condanna a morte dell’imputato. Il giovane Jean, colpito dalla freddezza con cui il padre aveva chiesto e ottenuto l’esecuzione di un uomo, e aveva deciso di lasciare la Francia. Con sé porta sempre taccuini, sui quali, descrive l’evolversi dell’epidemia. Altri personaggi: Joseph GRAND, impiegato comunale; COTTARD, un commerciante che, dopo aver tentato il suicidio, si arricchisce lucrando sulla carenza di generi di prima necessità; il padre gesuita PANELOUX, c’è, infine, Raymond RAMBERT, giovane giornalista francese che cerca disperatamente da RIEUX aiuto per tornare in Francia e ricongiungersi alla donna che ama. L’ occasione per fuggire, alfine, gli si presenta, ma RAMBERT decide di restare e si unisce al corpo di volontari. Nelle scuole, attrezzate provvisoriamente a ospedali, gli appestati aumentano. In autunno, il dottor Castel sviluppa un antidoto che potrebbe contrastare il morbo, RIEUX lo sperimenta sul figlioletto del giudice OTHON, la cura, non ha effetto e il bambino, muore dopo atroci sofferenze. PANELOUX muore.

Si giunge a Natale e anche GRAND viene contagiato: RIEUX tenta il tutto per tutto, somministrandogli un nuovo siero. GRAND guarisce, la peste incomincia a perdere virulenza. Nella sua ultima fase, però, l’epidemia uccide TARROU. RIEUX, raggiunto dalla notizia della morte della moglie, tenta disperatamente di salvare l’amico somministrandogli il siero, ma ogni sforzo risulta vano. L’epidemia giunge al suo epilogo. A febbraio, finalmente, la città esplode in festa.

L’unico a non gioire è COTTARD, deluso dalla fine della situazione a lui vantaggiosa, cade vittima di un raptus di follia e dà luogo a una sparatoria sula folla, prima di essere arrestato dalla gendarmeria. RIEUX mentre esamina i taccuini lasciatogli da TARROU, sulla base dei quali stenderà il racconto, ammonisce le autorità sulla necessità di una prevenzione contro un eventuale futuro ritorno della peste.

L’articolo letto è di Teresa Simeone “rileggendo la peste di CAMUS”, la giornalista scrive di una delle opere più famose di tutti i tempi.

CAMUS descrive episodi verificati ad Orano nel 194… È una metafora di quella epidemia diffusa in Europa nel 1940 cioè il nazional socialismo. L’autore quando ha scritto l’opera non riteneva il pericolo di epidemia reale. Invece è ciò che oggi stiamo vedendo con i nostri occhi. Proprio come il protagonista del romanzo, il dottor RIEUX, oggi ci sono tantissimi medici eroi che stanno lavorando notte e giorno per aiutare le persone malate, molti cercano di trovare una cura. Il personaggio che più mi ha colpito è stato Raymond RAMBERT che cerca disperatamente di tornare in Francia dalla fidanzata, proprio come tanti del nord che sono scappati verso il sud.

E sempre in questi giorni ho visto tanti come COTTARD che hanno approfittato dell’epidemia, sono stati alzati i prezzi delle mascherine. Padre PANELOUX interpreta la peste come un flagello divino per ricondurre i peccatori a Dio, poi si unisce al gruppo di volontari, in tempo di peste la religione non può più essere la stessa. In tv abbiamo visto solo il papa pregare in una piazza San Pietro vuota, quelle immagina mi hanno colpito tanto e dato tanta speranza. CAMUS descrive uomini che sono più da ammirare che da disprezzare. Questo articolo mi ha colpito molto, mi fa pensare che niente è più come prima. All’inizio ero pure contento di non andare a scuola ma poi mi sono accorto che manca la vita di prima. Scherzare con i miei amici e con i professori, abbracciare un amico, non mettere la mascherina per uscire. In tv ci dicono di non uscire e forse a scuola non tornerò più.

Questa situazione per me è molto stressante, noiosa e fastidiosa, fortuna che posso andare almeno in campagna con i miei: è la mia unica distrazione.

Andrà sicuramente tutto bene.

Mattia Pugliese

classe 5 F

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“La Peste” A. Camus

La storia è ambientata nella città mercantile algerina di Orano, anni quaranta, sotto il dominio francese. Priva di spazi verdi, con i cittadini concentrati nei propri affari e commerci. Il protagonista è il dottor Bernard Rieux, che subito dopo aver accompagnato la moglie malata alla stazione, per raggiungere un luogo dove avrebbe potuto avere adeguate cure, si trova coinvolto in una vicenda terribile che riguarda l’intera città. Tutto ha inizio da una strana moria di topi. Poi la gente inizia ad ammalarsi. Le persone, in preda a febbre alta e delirio, sono ricoperte da bubboni, noduli e macchie scure. I primi ad accorgersi che è in atto un’epidemia di peste bubbonica sono Rieux e Castel, un suo anziano collega. Inizialmente nessuno li ascolta, ma quando la situazione si aggrava ulteriormente, arriva da Parigi l’ordine di isolare tutta la città. La città è come divisa in due, tra persone che non vogliono rinunciare alle proprie abitudini e altre che invece si barricano in casa. In aiuto di Rieux arriva Tarrou, figlio di un pubblico ministero francese, che aveva deciso di abbandonare la carriera giuridica, troppo cinica e insensibile, ed aveva deciso di girare il mondo documentando il più possibile tutto ciò che gli capitava. Tarrou riesce a formare un gruppo di volontari che assistono Rieux e si occupano dello smaltimento dei cadaveri. Tra questi c’è anche un giornalista di nome Rambert che cercava disperatamente di lasciare il paese per fare ritorno dalla sua amata in Francia, ma finisce per rimanere al fianco dei compagni per aiutare la popolazione.

Intanto la peste continua a dilagare, tra chi cerca di speculare sui beni di prima necessità come il commerciante Cottard che prima aveva tentato il suicidio, ma ora vede nella tragedia un’enorme fonte di guadagno. C’è poi chi cerca di scrivere, anche se senza risultati, un libro, come il dipendente municipale Grand, o chi pensa che la peste sia stata mandata da Dio per punire i peccati degli uomini, come padre Paneloux.

Il tempo passa e dalla primavera si arriva all’estate, il virus muta e si presenta sotto forma di polmonite ancora più contagiosa. I morti non si contano più, ma forse arriva una speranza dal vecchio Castel che è riuscito a sviluppare un siero. Rieux decide di sperimentarlo sul figlio del giudice Othon, purtroppo per il bambino non c’è nulla da fare e muore assistito da Tarrou e dalle preghiere di padre Paneloux, che perderà anche lui la vita. Rieux e Tarrou sono sempre più amici e confidenti, tanto da concedersi un momento di svago facendo un bagno in mare. Arriva Natale, tutti sembrano rassegnati alla catastrofe, anche Grand viene infettato, ma Rieux decide di non arrendersi e prova un nuovo siero. Grand guarisce e torna la speranza. Il virus sembra regredire e le persone iniziano ad abbassare la guardia, tra loro Tarrou che convinto di essere ormai al sicuro, non si era disinfettato come al solito e si era infettato. Nel frattempo a Rieux arriva la notizia della morte di sua moglie, ma nonostante il dolore cerca in tutti i modi di salvare la vita al suo caro amico che purtroppo morirà.

Finalmente a febbraio si dichiara la fine dell’epidemia, ma l’avaro commerciante Cottard, vedendosi diminuire gli affari, preso da una crisi spara da una finestra sulla folla festante in strada.

Rieux trova i taccuini dove Tarrou aveva annotato tutto ciò che era successo, e scrivendo il suo rapporto sull’epidemia raccomanda ai suoi superiori di non abbassare mai la guardia, perché il virus prima o poi avrebbe potuto ripresentarsi.

La giornalista Teresa Simeone riporta in questo articolo l’attualità di un romanzo scritto negli anni ’40, ma con una lettura diversa rispetto a quella data originariamente. Infatti “La Peste” di Albert Camus è letto inizialmente come una dura critica alle forme fasciste e al Nazismo di Hitler, interpretato in modo metaforico dall’autore come una vera e propria epidemia di peste, che dilaga inizialmente quasi nell’indifferenza e nell’incoscienza, per poi diventare prorompente e in grado di travolgere tutto e tutti senza pietà. Camus infatti oltre ad essere un filosofo ed uno scrittore, era un attivista politico che aveva aderito al movimento antifascista e di conseguenza antinazista. Nel romanzo emerge la sua filosofia riguardo alla condizione dell’uomo, lui sottolinea che l’unica salvezza dell’individuo è essere altruista, aiutare il più possibile gli altri soprattutto chi è più svantaggiato, senza contare su un aiuto divino in cui non crede. La Simeone porta l’attenzione, ora, sull’attualità del romanzo per i suoi contenuti letterari. La descrizione dell’epidemia di peste è simile a quella che stiamo vivendo con il Covid-19, in grado di separare nuclei famigliari, di rendere le persone diffidenti e creando esclusione sociale nei confronti degli infetti. Di cadere nelle speculazioni finanziarie e commerciali di chi nella tragedia trova una forma di guadagno, ma anche di tutte quelle persone che volontariamente continuano ad aiutare gli altri tramite enti ed associazioni, di tutto il personale sanitario e in generale di tutti coloro che mettono a rischio la propria salute e a volte sacrificano la propria vita per il bene della collettività. Come nel romanzo ci si augura che alla fine di questa pandemia possiamo essere tutti più consapevoli dell’importanza della vita e dell’unione sociale, e soprattutto che non bisognerà mai abbassare la guardia a livello sanitario e progettare un piano di emergenza utile per la prossima che, prima o poi, arriverà.

Fabio Primofiore

classe 5 F

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Trama del romanzo “La peste “

La storia è ambientata nella città di Orano in Algeria negli anni ’40.

Il protagonista del racconto è Bernard Rieux un medico francese residente a Orano.

La storia ha inizio con Rieux che accompagna la moglie, gravemente malata, alla stazione di Orano dove dovrà prendere un treno per raggiungere una località per curarsi.

Subito dopo la partenza della moglie in città scoppia una strana ed improvvisa morte di ratti. Nessuno riesce a spiegarsi la motivazione ma in realtà è solo l’inizio di una terribile peste.

In città cominciano a verificarsi i primi casi. Muore Michel, l’anziano portiere del condominio dove risiedeva Rieux. I malati presentano gravi sintomi: febbre alta, noduli e rigonfiamenti all’inguine e alle ascelle, macchie scure sul corpo e tutti muoiono dopo una forte ma breve agonia.

Il dottor Rieux e un suo collega riconoscono cosi i sintomi della peste bubbonica. Inizialmente nessuno però da retta ai due medici. Solo dopo la grande esplosione della pandemia Parigi ordina di chiudere la città con un cordone sanitario.

Gli abitanti la prendono in modo diverso. C’è chi non rinuncia ai piaceri della vita. Altri invece si chiudono in casa

Rieux pur sapendo delle condizioni della moglie non rinuncia ad aiutare le persone malate con l’aiuto di Tarrou.

Tarrou è figlio di un pubblico ministero francese. Il padre decide di portare il figlio ad un processo poiché il padre era convinto che il figlio avrebbe seguito le sue ombre. Il figlio però rimane colpito e inorridito dalla condanna a morte che il padre ottiene contro l’imputato. Decide cosi di scappare e girare il mondo. Con sé porta sempre dei taccuini in cui descrive i posti che visita. Ad Orano descrive infatti l’evolversi della peste.

Oltre a questi protagonisti c’è ne sono altri:

Joseph Grand, un impiegato comunale, che stava scrivendo un’opera letteraria

Cottard, un commerciante, che dopo aver tentato il suicidio si arricchisce grazie alla carenza di materiali di prima necessità. Il padre Paneloux, un predicante che nelle sue prediche dice che la peste è una punizione mandata da Dio.

C’è infine Raymond Rambert, un giornalista francese, che cerca Rieux per ricongiungersi con la donna che ama.

Intanto arriva l’estate e il virus muta e aumenta drasticamente il numero di morti. La città è ancora nel caos totale. In autunno nasce una piccola speranza. Si sperimenta un nuovo siero sul figlio del giudice Othon ma non va a buon fine.

La storia termina con Rieux a cui giunge la notizia della morte della moglie. Decide cosi di iniettare un altro siero su Grand che si era ammalato. Il siero funziona e Grand guarisce. Il numero dei morti diminuisce. L’epidemia giunge cosi a termine e a febbraio la città finalmente scoppia in festa. Rieux esamina i taccuini lasciategli da Tarrou, su cui poi si basa per creare il racconto. Invita anche le autorità a non abbassare la guardia ed a migliorare la prevenzione perché un domani il virus potrebbe ritornare.

Aspetti più significativi dell’articolo della giornalista Teresa Simeone

Il testo di Albert Camus “La peste” è considerata una metafora dell’“epidemia” scoppiata in Europa con il nome di Nazionalsocialismo. Ad oggi, invece, questo testo è un racconto di quello che stiamo vivendo e sta succedendo negli ultimi mesi nel mondo. Nel 2020 l’epidemia si sta trasformando in un’emergenza pandemica mondiale, modificando le nostre relazioni e i nostri rapporti sociali.

La giornalista ripercorre i momenti salienti dell’opera di Camus e li mette in relazione con quanto ci sta accadendo: gli infetti e i morti continuano a salire eppure proviamo ad auto consolarci. Con le dovute misure di sicurezza e maggiore igiene il virus si fermerà. Invece i morti e i numeri continuano ad aumentare e per evitare il panico non si parla di peste. Nella fase iniziale oltre ad una maggiore pulizia si chiede alle famiglie di autodenunciarsi e di presentarsi agli ospedali. Poi però con l’aumento dei casi si è costretti ad aumentare le misure di sicurezza: “Si dichiari lo stato di peste. La città è chiusa”.

Ci chiediamo dunque come potremmo reagire? Come i tanti oranesi che certi che il morbo non li avrebbe contagiati si disinteressano completamente fino a quando non ne diventano vittime. Bisogna invece reagire come Castel, combattere la peste a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. O come Rambert che vorrebbe solo ricongiungersi con la sua amata. Ci prova in ogni modo possibile ma intanto decide di aiutare Rieux. Riesce ad organizzare la sua fuga ma nel momento di fuggire ci ripensa e rimane ad Orano.

Oppure come Tarrou che con i suoi appunti raccoglie testimonianze e descrive l’evoluzione della peste. Organizza un gruppo di volontari per assistere Rieux e ovviamente si unisce a questo gruppo per aiutare.

Nel testo c’è anche un richiamo divino. Rieux dice che ciò che conta e guarire le persone e forse è meglio non credere in Dio e lottare. Come padre Paneloux che inizialmente dice che questa peste è una punizione divina ma poi si unisce al gruppo di volontari a lavorare instancabilmente.

Alla fine però anche il coronavirus passera. Lascerà dietro di sé molte vittime e molta amarezza. Lascerà dietro di sé dubbi e molte domande. Lascerà anche molte riflessioni su ciò che è l’altro per noi e ciò che siamo noi per l’altro.

Consideraioni personali

COVID-19
Il 10 Marzo 2020 il presidente del consiglio Conte, attraverso una conferenza stampa ha annunciato che l’Italia diventava ufficialmente zona rossa. Sono aumentate drasticamente cosi le misure per contenere il virus. Oggi è il 20 aprile 2020 ed è il 40esimo giorno in quarantena. Ho avuto un susseguirsi di emozioni. Inizialmente alla nascita del virus ho avuto poca paura. Al rientro dalle vacanze di Natale comunque la scuola era ancora aperta e quindi andando a scuola la mente non era focalizzata sul virus. In poche settimane però arrivarono i primi contagiati in Italia. Ho capito immediatamente che la situazione stava degenerando. Giunti infatti al 10 marzo, come detto prima, l’Italia diventa zona rossa per tutta la penisola. Le scuole cosi chiusero ed iniziò la vera e propria quarantena. Qui iniziò una grande paura che anche oggi ho addosso. Vedere ogni sera il bollettino della protezione civile. Sentire che ogni sera sono morte tante persone e tante altre sono state infettate. Sono tutti momenti della giornata che fanno pensare. Pensare che magari si poteva gestire l’emergenza in modo migliore. Personalmente comunque il fatto di essere in quarantena non mi ha fortunatamente colpito molto, perché anche nelle giornate normali non esco molto e quindi non sento questo bisogno di uscire di casa o frequentare i miei amici. Fortunatamente ad oggi sembra che la situazione stia migliorando e che i morti e gli infetti siano in grande calo. Anche se, come detto poco fa, questa quarantena non sta avendo grandi effetti negativi su di me, spero che la situazione migliori presto e che presto finalmente potremmo incontrarci con le persone che amiamo.

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/03/08/59/sg/pdf

Denis Gasi

classe 5 F

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“La peste” è un romanzo scritto da Albert Camus (1947).

La storia è ambientata nella città di Orano (Algeria), il protagonista è Bernard Rieux, un medico francese residente a Orano. La storia ha inizio con Rieux che accompagna la moglie, molto malata, alla stazione, per farle prendere un treno per raggiungere un luogo per curarsi. Poco dopo la partenza della donna, scoppia un’improvvisa moria di ratti, gli animali vengono trovati morti a migliaia. Michel, il portiere del condominio di Rieux, muore e in città si verificano casi simili. Rieux e Castel riconoscono i sintomi della peste bubbonica.

L’epidemia esplode e Parigi ordina di chiudere la città per impedire il propagarsi del contagio. Nonostante il pensiero per la moglie malata, Rieux cura gli appestati con l’aiuto di Jean Tarrou. Tarrou è figlio di un pubblico ministro francese, scappato via dalla Francia dopo aver visto il padre che con freddezza era riuscito a far condannare a morte un imputato. Con sé porta sempre i suoi taccuini dove descrive l’evolversi dell’epidemia.

Ci sono altri personaggi: Grand (impiegato comunale), Cottard (commerciante), il padre gesuita Peneloux e Raymond Rambert. Rambert cerca disperatamente di fuggire da Orano e tornare in Francia, alla fine però decide di restare e si unisce ai volontari. Il dottor Castel sviluppa un antitodo per contrastare la malattia, Rieux lo sperimenta su un bambino figlio del giudice Othon, ma purtroppo il bambino muore. Anche il padre Peneloux muore. Grand viene contagiato. Rieux gli somministra un nuovo siero, salvandolo.

Nel frattempo il numero dei malati diminuisce, Tarrou si ammala, Rieux viene a sapere che la moglie è morta e cerca così in tutti i modi di salvare il suo amico ma non ci riesce. A febbraio l’epidemia finisce, la città è in festa.

Cottard preso da un raptus di follia spara sulla folla, viene arrestato. Il protagonista Rieux è cauto, mentre esamina i taccuini lasciatogli da Tarrou, per lui c’era la necessità di una prevenzione contro un eventuale futuro ritorno della peste.

Teresa Simeone scrive un articolo sull’opera di Camus “La peste”. Da molti è stata letta come metafora del “nazionalsocialismo”, senza ritenere reale il pericolo di epidemia.

Oggi siamo in piena pandemia e proprio come il dottor Rieux abbiamo tanti medici eroi che stanno lavorando tantissimo per salvare la vita di tante persone. Ho visto in tv le foto di infermieri che dormono sul posto di lavoro stanchi. C’è tanta gente che ha approfittato dell’epidemia ed ha alzato i prezzi, Rambert, altro personaggio del libro, cerca di scappare in Francia per andare dalla fidanzata proprio come tanti italiani sono scappati dal Nord per andare al Sud.

Padre Peneloux che inizialmente interpreta la peste come castigo di Dio alla fine decide di unirsi al gruppo di volontari e combattere la peste.

Sempre in tv ho visto il Papa pregare per tutti noi, ci ha benedetti da lontano e ha benedetto ogni angolo del mondo, voleva darci un messaggio di amore e speranza.

La trama che ho letto corrisponde a ciò che stiamo vivendo oggi proprio come scrive la giornalista.

Il coronavirus è una malattia pericolosa che sta creando caos in questo periodo. Ogni giorno c’è il bollettino dei morti. Molti medici cercano una cura. Ci dicono di stare a casa, di non uscire, a scuola non ci possiamo più andare. Forse non tornerò più a scuola nemmeno per l’esame di stato. All’inizio non pensavo fosse così grave la situazione.

Io sto vivendo questa situazione in famiglia con molta calma e tanta tranquillità. Fortunatamente non abito in città quindi posso uscire in giardino o andare in campagna. Ma non posso negare che vorrei tornare a riabbracciare i miei compagni di classe.

Presto finirà tutto e andrà tutto bene.

Davide Carpineta

classe 5 F

Piazza S. Pietro, 23.03.2020 Foto tratta dal web

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Peste di Camus

Il romanzo si apre a Orano, località situata in Algeria, in quel periodo era colonia Francese e

siamo negli anni '40.

Bernad Rieux, che era un medico francese, protagonista della storia, un giorno di primavera rimase

sorpreso dalla presenza di un topo morto sito sulla soglia di casa, lui quel giorno doveva recarsi alla

stazione per accompagnare la moglie malata che necessitava di cure da fare fuori della città.

Con il trascorrere dei giorni, notò che i ratti continuavano a morire, ciò diventò notizia, perché ogni

giorno ne morivano seimila.

La popolazione di questa città cominciava ad accusare dell'accaduto un giorno uno, un giorno l'altro,

perché non sapevano a che cosa potevano andare incontro.

Con il passare dei giorni sembra che si torni alla normalità: i topi non muoiono più. Tocca alle persone!

Rieux e il suo collega Castel intuiscono, a causa della

morte del portinaio

del suo condominio, che si tratta della peste.

A causa di questa malattia, le autorità

decidono di mettere in quarantena tutta la popolazione.

La città attualmente è chiusa, ma nonostante ciò, c'è chi ne approfitta sulla distribuzione dei viveri.

Ci sono personaggi che danno il loro parere su questa situazione, come Grand, dipendente comunale,

per lui la peste potrebbe essere una punizione divina, chi si rifugia nell'alcool, chi fugge in Francia.

Il medico Rieux, nonostante le condizioni precarie della moglie, aiuta i suoi concittadini.

Il vecchio Castel, forse riesce a produrre un medicinale, Rieux lo sperimenta sul figlio del giudice,

ciò non ebbe il risultato sperato, morì in poco tempo.

Padre Panelux si occupa della cura dei malati, principalmente comincia a dubitare della fede, ma

anche lui si ammala e muore con il crocifisso sul petto.

Con l'arrivare del Natale, anche Grand si ammala, Rieux decide di sottoporlo all'unica terapia esistente,

e nonostante le sue condizioni critiche, con il passare del tempo riesce a guarire.

L'epidemia comincia a rallentare, ma riesce a portarsi via l'amico Tarrou, che ha pensato più ad

accudire gli altri, che alla sua salute.

Nel mese di febbraio la città esce dalla quarantena e iniziano i festeggiamenti, solo un commerciante

chiamato Cottard non partecipa, anzi spara sulla folla festante, viene arrestato dalle forze dell'odine.

Rieux, sfogliando gli appunti del suo amico Tarrou, nota che bisogna stare comunque attenti ad un

futuro ritorno della malattia.

Nell'articolo letto su ‘Repubblica’, scritto da Teresa Simeone , noto bene il confronto realizzato tra la

Storia, ben descritta, di ciò che accadde molti anni fa ad Orano, con la pandemia del coronavirus che,

purtroppo, oggi stiamo vivendo.

Questo romanzo, scritto al termine della Seconda guerra mondiale, mette in evidenza il male che ha

recato il nazionalsocialismo e mette quest’ultimo in relazione con la peste.

La giornalista confronta la reazione della gente, rappresentata nel romanzo, con quella vissuta oggi:

l'isolamento della popolazione di quel tempo e quella attuale.

In quella città si continuava ad agire come se nulla fosse accaduto, non si pensava che il male potesse

arrivare da un momento all'altro, fino a quando la peste colpisce anche agli incoscienti.

L'isolamento poteva dare i suoi frutti, c'era chi voleva fuggire e raggiungere altre mete per salvare la sua

vita, chi come il medico si dedicava alla cura degli infettati, scienziati che cercavano in tutti i modi di

inventare un siero capace di debellare il male, al contrario c'era chi approfittava della situazione per

lucrare sui viveri di cui la popolazione aveva bisogno.

Questo è tutto ciò che accade anche oggi da noi, la situazione è identica a quella della peste, cambia

solo il nome, la gente continua a morire nonostante tutte le innovazioni che si possono sfruttare.

Oggi come allora non esiste ancora un vaccino tale da tutelare la popolazione, vengono utilizzati

medicinali esistenti per la cura, macchinari che aiutano alla respirazione ed altre metodologie, ma per

tutelarci l'unica cosa attualmente possibile è come allora l'isolamento, che non deve essere obbligatorio,

ma la gente deve capire che in mancanza di un vaccino solo la quarantena ci può salvare.

La pandemia da noi è scoppiata in Lombardia, il primo errore fatto è stato quello di non isolare e

dichiarare zona rossa questa regione, si sono permessi gli spostamenti dal nord al sud della popolazione,

ricordiamo che in quel periodo il centro-sud Italia non era ancora stato infettato.

Attualmente non essendoci un vaccino, l'unica soluzione alla pandemia è l'isolamento e quindi evitare

il contatto umano.

Ciò anche per il rispetto di tutti i medici, infermieri e i vari sanitari che hanno perso la loro vita per

cercare si salvare la nostra, non dimentichiamo tutti morti causati dal covid 19.

Ricordiamo, però, anche chi sta lucrando su i dispositivi di protezione sanitari, utilizzati non solo in

ospedali ma anche da tutta la popolazione.

La religione, per Camus, d'innanzi ad una situazione del genere deve cambiare atteggiamento:

oggi tutti i riti religiosi sono stati modificati, si sta più vicini ai fedeli non solo con parole, ma anche

aumentando l'assistenza.

Nel romanzo padre Panelux aiuta e accudisce i malati, anche se prima diceva che la peste era una

punizione divina, comunque lui muore stringendo il crocifisso sul petto.

Rieux crede nelle capacità dell'uomo, nella solidarietà, nel sacrificio personale per gli altri.

Ora mi pongo una domanda, ma non credo sia il solo, un giorno riusciremo a sapere la verità sul

Coronavirus? Ci sono stati molti errori da parte di amministratori: io dubito si arrivi alla verità.

Luigi Naccareli

classe 5 F

Lockdown - DPCM 08-03-2020 Foto fanpage.it

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Sintesi Camus

Gli eventi che ho letto in questo testo sono avvenuti nel 1940 a Orano, anche se ambientati in un’altra città e in un tempo passato, sono attuali, perché il racconto potrebbe narrare vicende di un paese come Codogno, di una città come Bergamo, nei nostri giorni.

Narra di un’epidemia di peste che dilagò in un posto in Algeria, rappresenta il dramma dei cittadini colpiti dal terribile morbo.

Nel 2020 questa epidemia che ci ha colpiti fa capire quanto può cambiare la nostra vita: stravolgere l’esistenza e modificare i rapporti tra le persone.

L’articolo, ripercorrendo la trama del libro di Camus, analizza comportamenti e personalità dei protagonisti del romanzo.

Quella mattina il dottor Bernard Rieux uscendo dal suo studio inciampò su un topo morto, e da qui inizia tutto, i topi iniziano a aumentare e si trovano dappertutto, la gente inizia a spaventarsi ma la morte dei topi rallenta.

Per poco la città si tranquillizzò ma poi la gente iniziò a ammalarsi per primo fu Michel che era il portiere del condominio.

All’inizio i sintomi non furono associati a una malattia, dopo anche altre persone contrarsero gli stessi sintomi, e quindi Rieux cominciò a chiedersi cosa avevano in comune questi ammalati.

Man mano iniziavano i problemi perchè i malati aumentavano, in pochi giorni morirono tante persone e si capì che era in corso una vera e propria epidemia.

Da quel momento compresero che si trattava della peste.

Tutti sperano che con le dovute precauzioni passerà, ma i morti continuano a salire. Le autorità vengono informate, ma per non creare panico cercano di far rimanere tutto tranquillo; alla fine dovettero avvisare la gente e si danno informazioni circa le precauzioni da prendere per evitare il contagio, si danno delle norme igeniche e si dice di andare in ospedale nel caso si abbiano le pulci. Ma poi le norme divennero sempre più spietate con l’isolamento in casa e misero in quarantena tutta la città.

La giornalista ci riporta ai nostri giorni paragonando l’angoscia dei cittadini di Orano con le nostre paure: quale sarà il comportamento che avrà ognuno di noi, persone normali, in questa situazione?

Come il semplice Michel, portiere di un condominio, che muore senza aver fatto niente,
preoccupato solo che l’evento del topo morto sia imputabile alla sua distrazione?

Come il Dottore Rieux, che aiuta i colpiti dalla peste, dormendo tre ore a notte, e lo fa sapendo che potrebbe morire, senza il sorriso di sua moglie, che è dovuta andare via da Orano prima che scoppiasse l’epidemia.

Come Rambert, che dapprima cerca di scappare dall’epidemia ma poi rimane per senso di responsabilità; o come Cottard, che specula sulla malattia arricchendosi.

Come i tanti oranesi, anche i cognesi erano certi che il morbo non li avrebbe colpiti, domandandosi perchè proprio a loro e si disinteressano fino a quando non vengono colpiti. Fino a che il cordone sanitario si stringe come i cancelli di una prigione, escludente ed emarginante. Fino a quando, sfiniti dall’isolamento e dall’angoscia, rompono gli obblighi di quarantena e fuggono dalla città. Fino a quando si rassegnano e accettano, infelici e spauriti, il proprio destino. Abituati al coprifuoco, al fetore della morte, ai seppellimenti fatti in fretta e furia, a non poter piangere più i propri cari, a intuire che finiranno nei forni crematori.

Come Castel, intento a cercare un siero che possa aiutare i malati: c’è bisogno di lottare e non mettersi in ginocchio. Combattere questa epidemia, a qualsiasi costo, con qualunque mezzo. Impedire che le persone muoiano: questo è ciò che dà senso alle giornate. E infine ci riesce, stanco e snervato, ma sereno.

Torna su Rambert che lotta in tutti i modi per impedire alla peste di soffocare il suo desiderio di felicità: spera di congiungersi con la sua compagna. Prova tutte le strade, legali e illegali, e, intanto, offre il suo aiuto a Rieux, soccorrendo dall’alba alla notte.

Finalmente riesce a organizzare la fuga: partirà di lì a poche ore ma, quando arriva il momento, non è convinto.

Il dottor Rieux gli dice, tra un’incisione di bubbone e un’altra, che non c’è niente di male a essere felice, Rambert risponde che è vero, ma che “ci può essere vergogna nell’esser felici da soli”. E rimane a Orano.

Forse come Tarrou che, da forestiero, colto, ricco , continua a pernottare nell’albergo dove alloggia e a prendere appunti, a raccogliere testimonianze, a descrivere le occupazioni dei cittadini, a seguire l’evoluzione della peste registrando aneddoti su tutto ciò che vede, con un spirito curioso e ironico. La figura di Tarrou, secondo l’autrice dell’articolo, è una delle più belle del libro: pur potendo evitare coinvolgimenti, lui offre il proprio aiuto a Rieux e propone di organizzare un gruppo di volontari per assisterli.

Naturalmente ne farà parte anche lui. Al gruppo si aggiunge Grand, l’aspirante scrittore, che Rieux considera uno dei veri eroi di questa storia. Eroe di semplicità e autenticità di sentimenti, le uniche qualità che contino nel delirio di questo terrore.

Intenso è il dialogo su Dio, sull’impegno del medico, sulle ragioni della disponibilità di Tarrou: Rieux gli chiede perché sia disposto a rischiare, proponendosi come volontario, e Tarrou gli risponde domandandogli, a sua volta, perché mostri tanta devozione se non crede. E il dottore confessa “che se avesse creduto in un Dio onnipotente avrebbe trascurato di guarire gli uomini, lasciandone la cura a lui”. Ciò che conta è guarire le persone e forse è meglio non credere in Dio e lottare “con tutte le nostre forze contro la morte, senza levare gli occhi verso il cielo dove lui tace”.Un Dio, altro tema che ritorna, che si rende responsabile della morte di bambini innocenti, come il figlio di Othon.

Come padre Peneloux, che considera la peste come un flagello divino per ricondurre i peccatori a Dio e che è interessato a riportare la collettività distratta alla Chiesa, ma che poi si unì al gruppo di volontari a lavorare instancabilmente tra letti e sudore infetto. Cambia la sua posizione perché la religione in tempo di peste non può, non può più essere la stessa.

Ci fa riflettere su come potremmo reagire noi facendo degli esempi con i personaggi principali o con altri che si agitarono e impaurirono aspettando la loro morte.

Alla fine del testo c’è una rassicurazione da parte di chi ha scritto l’articolo e ci dice che anche il coronavirus passerà, lasciando i suoi segni, ma facendoci riflettere.

William Di Bari

classe 5 F

Raccomandazioni, Ministero della salute- Foto A. Verdecchia

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Sintesi del romanzo con breve caratterizzazione dei personaggi principali e temi affrontati nell’articolo di Repubblica di Teresa Simeone “ L’umanesimo ai tempi del coronavirus. Rileggendo ”La peste” di Camus

Il romanzo “La peste” di Camus è una vasta allegoria della condizione umana analizzata attraverso la descrizione di una città isolata da una epidemia.

A Orano, città dell’Africa settentrionale, scoppia improvvisamente la peste, accompagnata da una disgustosa moria di topi. L’insorgere di una malattia che sembrava debellata da secoli scuote la popolazione dal consueto torpore e provoca le più svariate reazioni.

Ad Orano negli anni ‘40 vive il medico Rieux. Questi scopre il cadavere di un ratto sul suo pianerottolo. Il portinaio del palazzo, il signor Michel, pensa che siano dei burloni che si divertono a mettere questi cadaveri di ratti all’interno dell’edificio. Rieux accompagna alla stazione la moglie che, malata, parte per farsi curare in una città vicina. Nei giorni successivi continuano a morire migliaia di topi in tutta la città. Poi incominciano ad ammalarsi anche le persone e a morire come il signor Michel. Ma in città tutto tace, le autorità non parlano della situazione.

Le morti si moltiplicano. Rieux consulta i suoi colleghi tra i quali Castel che conferma i suoi sospetti: si tratta di peste bubbonica. Rieux ottiene che le autorità della città prendano coscienza dell’epidemia e si decidano a “chiudere” la città. La città viene isolata, la situazione e la paura modificano i comportamenti collettivi ed individuali: “la peste fu un affare di tutti”, così scrive il narratore.

Gli abitanti di Orano reagiscono ognuno a modo proprio. Alcuni non rinunciano ai piaceri della vita di ogni giorno, altri, invece, si barricano in casa temendo il contagio. Nonostante il pensiero per la moglie malata, Rieux non si tira indietro dal prestare le cure agli appestati Gli abitanti devono convivere con l’isolamento sia all’esterno che all’interno. Incontrano difficoltà a comunicare con i loro parenti o i loro amici che sono all’esterno.

Tra i personaggi di cui si narra nel romanzo c’è un giornalista parigino, Rambert, separato della sua compagna che vive a Parigi e che lui desidera raggiunge e chiede l’aiuto a Rieux.

Ci sono tutti gli abitanti di Orano che tentano di compensare le difficoltà dell’isolamento, abbandonandosi ai piaceri materiali ed ancora c’è Padre Paneloux che inizialmente indica la peste come lo strumento della punizione divina e chiama i suoi fedeli a meditare su questa punizione mandata ad uomini privi di qualsiasi spirito di carità. Infine c’è Tarrou, figlio di un procuratore e straniero in città, che non segue le orme del padre perchè sconvolto dal suo agire freddo e spietato e che appunta nei suoi taccuini la cronaca dell’epidemia. Egli ha grande fiducia nell’uomo e dà prova di un coraggio straordinario mettendosi a disposizione di Rieux per organizzare un servizio sanitario di emergenza. Anche Rambert si aggrega ai due uomini pur cercando legalmente ed illegalmente di fuggire per raggiungere Parigi .

L’epidemia si diffonde e le vittime sono sempre di più.

La forza pubblica è obbligata a reprimere rivolte e saccheggi. Gli abitanti sembrano rassegnati. Danno l’impressione di avere perso i loro ricordi e la loro speranza. Non nutrono più illusioni e si limitano ad aspettare…

Rambert ha l’opportunità di lasciare la città, ma rinuncia a partire. È deciso a lottare a fianco di Rieux e di Tarrou.

La sofferenza degli uomini e le tanti morti di innocenti intaccano anche le certezze di Padre Paneloux ma alla fine Il prete si rinserra nella solitudine della propria fede, e muore di peste senza chiamare i medici, stringendo febbrilmente al petto un crocifisso. Tarrou e Rieux, conoscono un momento di comunione amichevole, di vicinanza, di fratellanza quando fanno un bagno in mare.

A gennaio finalmente la peste regredisce pur facendo le ultime vittime; Tarrou muore, serenamente a casa di Rieux affidandogli i suoi taccuini con la cronaca dell’epidemia e un telegramma arriva a Rieux comunicandogli la morte della moglie.

All’alba di una bella mattina di febbraio, le porte della città si riaprono. Gli abitanti, assaporano finalmente di nuovo il gusto della libertà ma non dimenticano la terribile prova “che li ha messi di fronte all’assurdità della loro esistenza ed alla precarietà della condizione umana.”

Alla fine del romanzo il narratore si scopre; è Rieux che seguendo gli appunti di Tarrou ha cercato di narrare gli eventi mettendo in guardia chi legge sulla possibilità che il virus della peste ritorni.

L’articolo di Repubblica scritto da Teresa Simeone prende avvio proprio dal parallelismo tra il contesto e le vicende narrate nel romanzo e la situazione che stiamo vivendo oggi con la pandemia determinata dal coronavirus. Il romanzo è una metafora del male che incombe sull’umanità, male che Camus vedeva nel socialnazionalismo che si diffuse negli anni ‘40 in Europa e che portò alla seconda guerra mondiale. Oggi invece stiamo rivivendo letteralmente lo stesso male descritto nel romanzo, la diffusione di una malattia che minaccia tutti gli uomini, che cambia le relazioni, che cambia il modo di essere della società, che cambia i diritti degli uomini.

Camus nel romanzo descrive la psicologia dei protagonisti, il distacco iniziale dei cittadini di Orano che continuano a fare la solita vita fino a quando non vengono personalmente infettati, poi la paura di essere contagiati, la paura di non poter stare con la propria famiglia, la paura di essere ghettizzati dai sani. Camus descrive gli orrori del male e i comportamenti reali, senza maschere, dei personaggi, le fragilità e le potenzialità di coloro che si trovano ad affrontare tale situazione limite.

La giornalista si interroga sulle reazioni della nostra attuale società come collettività e sulle reazioni dell’individuo singolo di oggi e continua il parallelismo iniziato con le vicende narrate nel romanzo ricordando che la società non avverte il male se non quando ne è direttamente interessata. Pone attenzione sul comportamento di fuga degli Oranesi per paura, così come hanno fatto i tanti italiani che dal nord sono fuggiti dalle aree in cui si era diffuso inizialmente il covid 19 verso il sud, ed ancora dell’angoscia che opprime coloro che costretti in quarantena tentano di evadere o di coloro che si rassegnano alla situazione e al dolore di non poter piangere i propri cari morti per la peste ad Orano e per il Covid oggi durante questa pandemia.

Il parallelismo continua perché come i personaggi di Rieux e di Castel ad Orano negli anni

‘40 tanti sono i medici e gli infermieri che oggi lottano e curano coloro che sono affetti dal virus, rischiando la propria vita e quella dei propri cari che potrebbero infettarsi per la vicinanza e tanti sono gli scienziati che cercano una soluzione. L’unica cosa che dà un senso in questo momento come nel romanzo è lottare, non arrendersi al male e avere coraggio. Come Rieux , Rambert, Tarrou anche oggi ci sono medici, volontari uomini eroi che operano per lottare contro la pandemia, per curare gli ammalati e per trovare un vaccino o i farmaci efficaci.

Importante è anche il tema religioso affrontato nel romanzo attraverso i personaggi. Rieux non è credente e in un dialogo con Tarrou afferma che se credesse in Dio si rivolgerebbe e si affiderebbe a lui senza lottare per salvare gli ammalati con la sua opera diretta. Lui crede sia meglio lottare e fare del proprio meglio per far sì che le cose cambino in meglio, crede nelle capacità dell’uomo mentre dubita di un Dio che lascia morire i bambini.

Anche il personaggio di padre Panelux, uomo di fede, cambia il suo modo di agire e si unisce al gruppo di uomini per curare gli ammalati anche se inizialmente attribuiva il male mandato dal cielo per riportare gli uomini senza carità alla Chiesa. Questo indica lanecessità di un cambiamento anche per la religione che deve modificarsi in tempo di peste.

La peste come il covid 19 riguarda l’intera collettività e il suo modo di essere. In questo momento sembra che tutta la società sia pervasa da freddezza, paura, sospetto, stanchezza e distacco come ad Orano.

La peste andò via da Orano e anche l’epidemia da Covid pian piano si esaurirà e torneremo alla nostra vita ma sicuramente non sarà come prima. Attraversare il male non lascia indifferenti e il coronavirus lascerà sicuramente delle conseguenze sulla società e sul suo modo di essere.

La giornalista esprime amarezza per le medesime reazioni umane in ordine a meccanismi sempre uguali in risposta ad eventi già conosciuti in passato ma allo stesso tempo auspica che questo male permetta all’interno della nostra società di riflettere maggiormente sul rispetto dell’altro, sulla percezione che l’altro ha di noi, sulla psicologia di chi è contagiato, sulla violazione della privacy in nome dell’interesse nazionale.

Davide Massimini

Classe 5 F

Code ai supermercati - Foto tratta dal web

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LA PESTE

La storia è ambientata nella città algerina di Orano, in un imprecisato momento degli anni quaranta, quando il luogo è ancora sotto la dominazione francese. Orano è descritta come una città mercantile senza alberi, senza giardini, senza piccioni, in cui l'arrivo della primavera si avverte solo perché al mercato si vendono i fiori arrivati da fuori. Il protagonista è Bernard Rieux, medico francese residente a Orano.

La storia ha inizio con Rieux che accompagna la moglie, gravemente malata, alla stazione di Orano, dove prenderà un treno per raggiungere una non meglio precisata località per curarsi. Poco dopo la partenza della donna, scoppia un'improvvisa moria di ratti. Gli animali vengono trovati morti a migliaia a ogni angolo della città ma nessuno se ne preoccupa a sufficienza.

Dopo la morte di Michel,portiere del condominio di Rieux, si iniziano a diffondere casi in città, febbre alta, macchie scure sulla pelle, gonfiamenti all’inguine e alle ascelle, gli infetti muoiono dopo un breve periodo di agonia. Rieux e un suo collega riconoscono i sintomi della peste bubbonica, nessuno li prende sul serio fino a quando la malattia inizia a diffondersi ed uccidere sempre di più. Alcuni abitanti si barricano in casa per paura, altri non rinunciano alla loro vita, frequentano bar, ristoranti, incuranti della situazione.

Rieux nonostante la moglie lontana e malata non si perde d’animo e con il suo amico Jean Tarrou inizia a prendersi cura dei malati, li conforta e li aiuta ogni giorno, prova in ogni modo a farli star meglio. Tarrou è figlio di un pubblico ministero francese destinato a intraprendere la carriera del padre, fino a quando un giorno il padre lo fece assistere ad un processo dove riuscì a far condannare a morte un uomo, da quel momento Tarrou inorridito abbandona la Francia e inizia a girare per il mondo portando dei taccuini su cui annotare tutto, in particolare anche l’evolversi della situazione ad Orano. Tarrou decise poi di instaurare un corpo di volontari per aiutare a trasportare i malati di peste negli ospedali.

Oltre a loro però c’è anche qualcuno che approfitta della situazione, come Cottard, un commerciante che ne approfitta per vendere beni di prima necessità a prezzi esorbitanti, rivelando quindi la sua natura avida. C’è anche un prete, padre Paneloux che considera la peste una punizione divina per gli umani.

Infine si nota un ultimo personaggio importante Raymond Rambert, un giornalista francese che dopo lo scoppio della peste cerca in tutti i modi di tornare in Francia dalla sua amata, trovata l’occasione per lasciare Orano, Tarrou gli fa notare come Rieux lontano da sua moglie malata mette anima e corpo per aiutare i malati, colpito dalle sue parole Rambert decide di rimanere ed entrare nel corpo volontario.

Con l’arrivo dell’estate la peste dilaga, passando da bubbonica a polmonare, mietendo sempre più morti, in città scoppia il panico, la gente si barrica in casa, il numero dei morti aumenta disastrosamente.

In autunno il dottor Castel sviluppa un antidoto che però si rivela un fallimento, dopo la morte di padre Paneloux si ammala anche Grand, un impiegato che è stato vicino al dottore ed ha aiutato con i pazienti, Rieux tenta il tutto per tutto sperimentando un nuovo siero che pare funzionare, Grand guarisce e il numero di appestati inizia a calare.

Nella sua ultima fase, però, l’epidemia colpisce Tarrou che aveva smesso di prendere le giuste precauzioni viste le condizioni migliorate, nel frattempo Rieux riceve la notizia della morte di sua moglie, così tenta a tutti i costi di salvare Tarrou, invano.

L’epidemia giunge al termine, tutti sono entusiasti tranne Cottard, che finito il tempo di guadagni sfruttando la situazione cade in preda alla follia e da un balcone inizia a sparare sulla folla in festa, prima di venir arrestato dai gendarmi.

L’UMANESIMO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

Teresa Simeone apre l’articolo paragonando la situazione di Orano nel libro di Camus a Codogno o a Wuhan o a qualsiasi altra città del mondo in questo momento.

Nel 2020 questa epidemia ci ricorda quanto siamo esposti a nuove infezioni virali, a nuove malattie, a quanto questi eventi possano modificare le nostre abitudini di vita, le relazioni, la vita sociale e culturale.

Dai primi casi con i ratti fino al primo uomo morto nel libro fino ad arrivare alla conferma della situazione, da lì si inizia ad avere paura perché è comunque un evento di fronte al quale si è sempre impreparati, come una guerra, la gente si convince che non durerà perché è una cosa stupida, nel frattempo i morti continuano a salire. Le autorità cercano di non diffondere la notizia per non creare panico, ma alla fine la notizia viene divulgata e si chiede di rimanere calmi e prendere le dovute precauzioni, si chiede di autodenunciarsi in caso di sintomi, poi si passa all’altra fase, dove vengono applicate misure restrittive, sanzioni per chi ignora le misure di sicurezza, fino ad arrivare ad una situazione di lockdown.

In questi scenari si sollevano le figure di volontari, medici, infermieri che hanno paura come tutti ma che mettono a rischio la propria vita per aiutare i malati, come il dottor Rieux e i suoi amici.

Si fa anche riferimento al rapporto con Dio, Tarrou chiede a Rieux il motivo della sua devozione se non è credente, Rieux risponde che se avesse creduto in Dio avrebbe lasciato i malati alle sue cure rimanendo fermo a guardare, padre Paneloux che definisce la peste una punizione divina ma che fin dal primo momento ha aiutato i malati.

Con il tempo applicando le giuste precauzioni la peste inizia a dileguarsi, meno morti, più guariti ma ovviamente lasciando la sua striscia di terrore e morte.

Così succederà con il coronavirus, passerà, anch’esso lasciando la sua scia.

Questo è un periodo difficile per tutti, studenti, insegnanti, come nel 1940 gli eroi attuali sono medici infermieri e volontari che nella attuale situazione rischiano la propria vita ogni momento, a causa anche delle mancate precauzioni, dispositivi di protezione.

Ognuno di noi può contribuire e deve sentirsi in obbligo di farlo rimanendo a casa e non violando le norme restrittive, è difficile per tutti rimanere fermi lasciare le proprie abitudini, lontani dalle persone care, ma nessuno si trova in una situazione migliore degli altri, questo, però, alcune persone non riescono a capirlo, è solo questione di tempo ma dobbiamo fare ognuno il nostro per uscirne al più presto.

Francesco D'Antonio

Classe 5 F

Medici e infermieri presidio ospedaliero Pescara - Foto di Stefano Schirato