Dolores Prato

Dolores Prato, scrittrice e giornalista, nacque a Roma il 10 aprile 1892. Piccolissima, fu affidata ai suoi due zii di Treia, Domenico, sacerdote, e sua sorella. Qui visse fino al 1912, istruita prima dai parenti e poi presso l’Educandato Salesiano delle suore della Visitazione, finché non si trasferì a Roma per laurearsi alla facoltà di Magistero nel 1918. Nemica del fascismo e decisa a non prendere la tessera del partito, insegnò lettere in alcune scuole statali fino al 1927 (a Sansepolcro in Toscana, poi a Macerata e San Ginesio nelle Marche). Dopo un breve periodo d’insegnamento a Milano, presso la Libera Scuola di Cultura e d’Arte di Vincenzo Cento, si stabilì a Roma. Finita la guerra, cominciò a collaborare con articoli di cultura a diversi quotidiani, tra cui «Paese Sera». Pubblicò due libri, Sangiocondo(1963) e Scottature(1967), entrambi in autoedizione. Nel 1980 uscì per Einaudi Giù la piazza non c’è nessuno, il suo capolavoro, in una versione ridotta (per l’edizione completa bisognerà aspettare il 1990 con Mondadori e il 2009 con Quodlibet). Dolores Prato morì il 13 luglio 1983 in una clinica di Anzio.

Non si può comprendere Dolores Prato se non si rimanda ogni sensazione di lettura a un luogo, una città, un paese, una casa, un convento, una chiesa.

Se è vero, infatti, che Dolores è «l’innamorata dei nomi»^{^[1]}, è altrettanto certo che ogni sua opera è l’eredità di un’innamorata dei luoghi. Tutti i suoi viaggi, ogni spostamento, ogni cambio di casa (da Treia, a Roma, San Sepolcro, San Ginesio, Macerata, poi Milano e poi ancora Roma) hanno creato in lei nuove comunioni e amicizie ambientali che, puntualmente, sono state trasferite su carta, su innumerevoli biglietti, nei manoscritti, negli articoli per i giornali.

Campane a Sangiocondo^{^[2]}, è un racconto che ha come protagonisti San Ginesio e il suo parroco, don Pacì. Questo romanzo è un altro esempio fulgido dell’immersione di Prato nello spiritus locidelle città, grandi o piccole, che entravano a far parte della sua esistenza. Nei vicoli, nelle strade, nelle piazze ginesine la scrittrice ha vissuto e insegnato Lettere dal 1922 al 1927 nella Regia Scuola Normale Promiscua “Matteo Gentili”: pochi anni, in cui Dolores si appassionò alla storia del paese, ne intuì e assorbì tradizioni, manie, profili e orizzonti.

^{^[1]}D. Prato, Le Ore, a cura di G. Zampa, Adelphi, Milano 1994,p. 330. L’innamorata dei nomiè anche il titolo del saggio di F. Brevini sull’opera autobiografica di Dolores Prato, pubblicato nel 1989 dalle edizioni Città di Treia.

^{^[2]}Prato, Campane a Sangiocondo, a cura e con un saggio di N. Paolini Giachery, Avagliano Editore, Roma 2009, rimasto inedito fino al marzo del 2009 (se si esclude l’edizione Pax, in polacco, del 1965 e la pubblicazione Sangiocondo, poi La rosa muscosa, delle edizioni Campana di Roma, del 1963, entrambe autofinanziate).

Da Campane a Sangiocondo...

"Sangiocondo sorge in una regione collinosa dove le colline stanno ognuna per conto proprio senza formare nè blocchi nè catene; forse sono confederate fra di loro ma quel che appare è la loro indipendenza.

Ognuna ha in cima qualche cosa, o un paese o una veccjia torre. Sui fianchi non c'è manco una borgatella;la gente assomiglia alle colline; non ama paraventi alle spalle.

La zona, vastissima, finisce a levante nel mare; a ponente si inerpica pian piano sino a raggiungere una grande catena di monti.

Tra le colline ce n'è una più alta delle altre e più sola che sostiene il paese di sangiocondo come il faro la sua laterna.

Di lassù si vede luccicare il mare all'orizzonte e si abbraccia tutto intero il poderoso nodo montano; intorno, colline di forme caspricciose, brevi pianure come piazzuole verdi e piccole valli scavate dai fiumi che, buoni buoni, se ne vanno dai monti al mare serpeggiando con grazia. La mattina queste valli sono coperte di nebbia chequando è tanta, si fonde, quella di una valle con quella dell'altra, e sommerge le collione più basse; allora Sangiocondo oare uno scoglio in mezzo a un silenzioso mare biancastro.

Assomigliare il paese alla lanterna di un faro è giusto se si guarda da molto lontano l'altissima collina ma, avvicinandosi e cominciando la salita, l'aspetto cambia.

Guardando da nord, il paese non si distingue bene essendo tutto chiuso nelle sue alte mura medioevali che, da quella parte,, aiutate dalla configurazione interna del terreno, nascondono torri e campanili. Di lì quelle mura sembrano la naturale terminazione rocciosa del monte.

Ma da sud, specialmente quando la strada punta sulla porta del paese, esso appare come una gigantesca lumaca emergente dai bastioni: è il groppone della chiesa Collegiata con i suoi due campanili a dare l'impressione della chiocciola con le corna tese a scutare il cielo".

da D. Prato, Campane a Sangiocondo, Avagliano editore, Roma 2009, pp. 31-32.